mercoledì 28 novembre 2012

Il fulmine sull'Ilva di Taranto

Se fossimo nei tempi pagani o ancora nel medioevo, la tromba d’aria, di più il fulmine, non potrebbero non essere interpretati come  segni divini, e dunque il dubbio sulle sorti  dell’industria qual essa è oggi  non essere chiaro e inequivocabile: gli dei sono infuriati e non proteggono la fabbrica che ha dato sì lavoro ma ha anche sparso, secondo le indagini dei magistrati, veleni e malattie e perpetrato l’inganno. Se così è, se questo è provato, non c’è discussione possibile, non c’è margine tra profitto e salute, tra deficit dello Stato e tutela delle persone e dell’ambiente. Torneremmo indietro agli albori dell’industrialismo quando tutto era lecito o aggiustabile in nome della crescita economica che da sé avrebbe risolto i problemi. Oggi non possiamo più credere in questa favola facile, semmai dobbiamo tornare a temere i fulmini della natura! E’ lungo l’elenco delle ferite profonde che le industrie inquinanti hanno prodotto, dei lutti che hanno seminato nelle famiglie, dei danni arrecati al pianeta. Siamo indietro di decenni perché la produzione di queste fabbriche avrebbe dovuto essere modificata, e non c’è crisi economica che giustifichi di proseguire nel disastro.

Sono diversi i nodi che stanno venendo al pettine ma è pure arrivato il momento di fare le scelte giuste e se i sacrifici si devono fare e li stiamo facendo che sia davvero per il bene comune.

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